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8 Aprile 2020

Come potrebbe cambiare la comunicazione pubblicitaria durante la pandemia.

di Dino Amenduni

È ancora troppo presto per stabilire se alla fine del lockdown saremo consumatori più consapevoli, più frugali, meno globalizzati e più attenti alle filiere nazionali o se avverrà l’esatto contrario, ossia si correrà a comprare e spendere, forti di un senso di urgenza maturato dopo mesi di restrizioni. È possibile che entrambe le tesi possano essere ragionevoli, e che emergeranno due tendenze un po’ estreme che convivranno tra loro.

È possibile, però, fare un ragionamento sul come si può fare comunicazione pubblicitaria oggi, tenendo conto che lo scenario è totalmente inedito da molti punti di vista ma che non è detto che non possa ripresentarsi, seppur in forme più blande, nel corso del tempo (o perlomeno fino a quando non sarà reso disponibile un vaccino).

Provo a isolare alcuni elementi di riflessione:

1. Chiedere soldi oggi non funziona

Una ricerca McKinsey di un paio di settimane fa sul comportamento di consumo degli italiani durante la pandemia di Covid-19 mette in luce dati, se vogliamo, banali: l’89% dei rispondenti dichiara di aver rinunciato ad acquisti che in ‘condizioni normali’ sarebbero stati certamente fatti, il 93% si dichiara molto attento a come spendere il proprio denaro.

Indagine MCKinsey sul comportamento del consumo degli italiani durante la pandemia da Covid-19.

Davanti a un atteggiamento così (saggiamente) prudente, il tono e il contenuto della comunicazione pubblicitaria non può che cambiare a livello strutturale.

In particolare: fatti salvi i beni di prima necessità, è inutile se non addirittura controproducente tentare di chiedere oggi il denaro degli italiani, anche promettendo loro un qualche vantaggio da riscattare domani. Questa è una dinamica che sta prendendo piede nel mondo della ristorazione con il nome gergale ‘Ristobond’ .

Il tentativo dei gestori di ristoranti, pub e locali pubblici è comprensibile: si sta provando a costruire un flusso di cassa immediato per creare un ponte di liquidità che permetta la sopravvivenza durante il lockdown; ma è un tentativo che potrebbe non funzionare, considerato l’atteggiamento iper-difensivo dei consumatori emerso dall’indagine McKinsey.

Non è, dunque, la stagione delle call to action troppo aggressive, o semplicemente della comunicazione pubblicitaria di prodotto standard.

2. Aziende, consumatori, cittadini sono tutti sulla stessa barca.

Ne avremmo certamente fatto a meno, ma il Coronavirus è l’esperienza più universale della storia recente. I quotidiani monitoraggi di SWG sullo stato d’animo degli italiani denotano che più del 90% dei rispondenti al sondaggio è preoccupato per la situazione in cui ci siamo ritrovati.

Indagine SWG sul sentiment degli italiani per la diffusione del Coronavirus.

Ciò vuol dire che non esistono categorie sociali o economiche meno coinvolte di altre, o che possono immaginare di essere esentate da alcuni comportamenti od orientamenti. Tradotto in termini pratici: anche le aziende e le organizzazioni di categoria sono chiamate a coltivare una sorta di ‘umanesimo’ e i loro sforzi di comunicazione ne dovranno tenere conto.

Per argomentare meglio, prendo in prestito le parole di Raffaele Boiano (Fifth Beat) e Osvaldo Danzi (Fiordirisorse).

Raffaele: “Investiamo nelle relazioni per affetto o fiducia. La fiducia è centrata su un concetto più profondo: la credibilità. Essere credibili significa avere: competenza (conoscere il dominio nel quale si opera), onestà (saper riconoscere l’errore) e affidabilità (mantenere le promesse).

Anche se può sembrare controintuitivo, la credibilità è connessa al sapersi dimostrare vulnerabili. Credo di più a una persona o a un’organizzazione che non nasconde i propri limiti. L’abbandono definitivo dell’asimmetria e il farsi carico di esigenze emergenti ora sono elementi imprescindibili per chi vuole fare human centered design.”

Osvaldo: “Il Coronavirus aiuterà tutti a riconoscere:

– i negozianti onesti da quelli che anche in questo frangente non hanno mancato di speculare (guanti, mascherine e altro);

– i fornitori di servizi (piattaforme, consulenza ed altro) che hanno rispetto per te e quelli che non hanno perso l’occasione di fare “vendita” magari iniziando la mail con un messaggio di empatia per poi proporti un servizio “gratuito” (non prendiamoci in giro, stai sfruttando il momento per raccogliere dati e poi fare pushing quando sarà);

– i datori di lavoro rispettosi della salute dei propri collaboratori (si prevede un turn over sostanzioso nel dopo-crisi e tante aziende che si chiederanno “come mai?”) e dei propri territori;

– la qualità morale, etica e finanziaria dei tuoi clienti;

– quelli che speculano anche sui pagamenti: ritardavano prima e adesso hanno il coraggio di mandarti una mail dopo due giorni dall’emergenza annunciando che “ci saranno ritardi nei pagamenti dovuti alla situazione contingente”. Sai che novità?

Unendo questo punto a quello precedente, potremmo avere una sintesi di ciò che oggi può fare la comunicazione pubblicitaria:aiutare le aziende a farsi (ri)conoscere, nella speranza che i consumatori si ricordino chi si è comportato bene in questi mesi per premiare l’etica un domani.

3. Il destino dell’Outdoor

Che fine faranno le affissioni stradali? Oggi non rientrano tra le attività considerate ‘strategiche’ dal Governo e la motivazione per cui ciò accade è abbastanza lampante: se si chiede agli italiani di restare a casa, non ha senso riempire le città di pubblicità. Non ha senso prima di tutto per gli inserzionisti.

Restano però due strade aperte, entrambe di grande interesse e accomunate, almeno per il momento, dallo stesso punto di arrivo: responsabilizzare i cittadini rispetto all’adozione delle misure di distanziamento sociale, necessarie per contenere i contagi di Coronavirus.

Queste strade possono essere percorse:

– dalle Pubbliche Amministrazioni, che possono usare spazi proprietari per lanciare messaggi legati alla gestione dell’emergenza;

Due esempi di campagna outdoor

– dai privati, che possono usare il Digital Out of Home per la stessa ragione.

Campagna Outdoor Sky

Entrambe queste campagne, pur partendo da mittenti diversi, hanno tre caratteristiche in comune:

– sono azioni di brand (addirittura, nel caso del billboard israeliano, il marchio del mittente non è nemmeno esplicitato);

– hanno un potenziale di rimbalzo online molto forte (entrambe le campagne sono state pubblicate sul portale Ads Of The World, che sta raccogliendo una galleria di tutte le pubblicità ‘ispirate’ dalla pandemia);

– sono ispirate da una tecnica di psicologia comportamentale chiamata nudging (spinta gentile), e cioè non chiedono esplicitamente al destinatario di adottare uno specifico comportamento, ma provano a ‘convincerlo’ attraverso un messaggio che induca il ricevente a modificare il suo orientamento in autonomia, perché quest’ultimo ritiene conveniente farlo.

Tutto questo dimostra solo una cosa: in questi mesi la pubblicità dovrà servire a convincere, più che a vendere. E forse non solo in questi mesi.

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