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11 Maggio 2020

Raccontarsi più che vendere: come comunicare la riapertura di una struttura turistica.

di Dino Amenduni

Comunicare, oggi, la riapertura di una struttura commerciale o turistica comporta dei rischi che occorre valutare con la dovuta ponderazione.

La pandemia, e il susseguente lockdown, infatti, non ha solo modificato radicalmente il modo di vivere collettivo, ma anche le aspettative, le necessità, le priorità, le aspirazioni e le paure dei cittadini.

Intervenire nel momento sbagliato e/o con le parole sbagliate potrebbe determinare un effetto boomerang, anche quando in partenza si avevano, ovviamente, le migliori intenzioni.

In un quadro così straordinario, sottoposto a fortissime attese da una parte e infinite variabili dall’altra, prendere una decisione rigida, determinata già in partenza, può dunque rivelarsi un errore. Un tono leggero riferito alla prenotazione di una vacanza, anche in un ipotetico futuro prossimo oggi può essere confortante, se tarato nel modo giusto.

Facciamo l’esempio di una struttura ricettiva: se tra 15 giorni scoppiasse un focolaio epidemico nella città in cui quell’azienda opera, scatterebbe immediata la associazione tra il brand e una situazione di pericolo, con conseguenti gravi rischi per la reputazione.

Non c’è niente di peggio nella comunicazione commerciale, in questo momento, del passare come mittenti attenti solo al profitto e noncuranti dei rischi sanitari dei destinatari delle proprie azioni di marketing.

Tabella del Trust Barometer 2020 di Edelman

La condizione psicologica di base può non differire in modo così esponenziale sulla base del pubblico da raggiungere: non è pensabile che i ‘ricchi’ abbiano meno paura dei ‘poveri’ o che la comunicazione B2B possa tornare a canoni più tradizionali rispetto a quella B2C.

Di nuovo: il vantaggio competitivo lo avrà chi meglio saprà intepretare lo spirito del tempo, coniugando le necessità del momento con le aspettative per il futuro e, quindi, le parole giuste al momento giusto.

Ciò non comporta una moratoria assoluta della comunicazione commerciale in questo momento. Non si tratta infatti evidentemente di tacere, ma di mostrare di sé quella parte che oggi può meglio coniugare necessità e aspettative.

Pensiamo ad esempio a un ristorante, a un negozio di abbigliamento, a una struttura ricettiva, a un salone da barba. Non è ancora il momento di dire “venite qui”, né questo momento è effettivamente controllabile dal mittente della comunicazione, ma un “ci stiamo preparando nel migliore dei modi”.

Oggi potrebbe essere il momento giusto per raccontare cosa potrebbe accadere durante la prima cena fuori, o il primo taglio di capelli, o il primo tuffo, rassicurando i consumatori sulla possibilità di usufruire di spazi insieme accoglienti e sicuri, che possono garantire il giusto distanziamento sociale senza negare nulla dell’esperienza, o per illustrare i criteri di sanificazione adoperati per rendere serenamente usufruibili gli ambienti.

Potrebbe essere anche il momento giusto per raccogliere anagrafiche di persone potenzialmente interessate, in un futuro meno incerto, a usufruire dei prodotti o dei servizi di chi comunica.

L’accesso ai siti ‘commerciali’ negli Stati Uniti è cresciuto del 13% dall’inizio dell’emergenza; l’utilizzo di sistemi di chat è cresciuto del 5%; le aziende hanno inviato il 27% in più di mail, ottenendo il 21% di lettori in più ma anche il 27% di risposte in meno (dati Hubspot).

Questi dati parrebbero indicare una strada: oggi buona parte dei consumatori non è ancora pronta a comprare, ma è certamente desiderosa di conoscere.

Fra qualche tempo, a percorso avviato, a target intercettato, ci sarà un momento nel quale, se già non sarà avvenuto naturalmente, sarà possibile tornare alle call to action classiche, nei tempi e nei modi giusti e con prudenza e progressività, ma con il vantaggio di aver conosciuto meglio, e di essersi fatti conoscere meglio, nel proprio mercato di riferimento.


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